domenica 21 settembre 2014

QUANDO C'ERA BERLINGUER

Titolo: Quando c’era Berlinguer  
Regista: Walter Veltroni; 
Attori: -; 
Durata: 117 min; 
Genere: Documentario; 
Produzione: Italia, 2014;
Premi: -

“Quando c’era Berlinguer” è un documentario del politico, giornalista e scrittore Walter Veltroni, dedicato a una figura chiave della politica italiana del dopo guerra, Enrico Berlinguer.

Puzzle di immagini e foto degli anni passati, interviste e testimonianze odierne.

Il documentario racconta la vita politica del leader più amato e rispettato in Italia. 

Veltroni presenta una figura passata, ne evoca il modello e sottolinea quella straordinaria capacità di raccogliere fiducia, stima e speranze, prima del consenso elettorale.

Si rivive da un lato la pacatezza e signorilità di un uomo semplice contrapposta all'austerità, alla tenacia e al coraggio di un politico vero.

“Un uomo della classe operaia e del popolo. L’uomo del nuovo socialismo e della lotta per la pace. Una grande forza politica e morale della democrazia italiana. Un uomo giusto.” 
(cit. L’Unità, 1984)

“Un uomo introverso e malinconico, di immacolata onestà e sempre alle prese con una coscienza esigente, solitario e di abitudini spontanee, più turbato che allettato dalla prospettiva del potere e una perfetta buona fede, di cui ci resta un programma sociale, politico, economico, etico e morale, non scritto, ma basilare per il futuro democratico e di progresso del nostro Paese.” 
(cit. Indro Montanelli)

Un paio d’ore di nostalgia per chi c’era e di storia per chi non era ancora nato.

Il messaggio di Veltroni non sembra celato: il rimpianto di chi ha fatto la storia e il peccato mortale di non essere stati in grado di mantenere acceso quel fuoco politico, faticosamente difeso e rinvigorito da quel piccolo grande uomo. Il continuo domandarsi se il PCI sia morto con Berlinguer, ne è un indizio e il degrado politico odierno è la prova!

Il mio giudizio è “Si può vedere”: si tratta di un documentario ben fatto che racconta la vita pubblica di Berlinguer, sottolineando i cambiamenti, le idee, le vittorie, le sconfitte e le critiche. Veltroni non si nasconde mai, nel bene e nel male. Talvolta sembra voler rivendicare un “Io c’ero quando c’era Berlinguer”, dimenticando poi di narrare un “Io c’ero (purtroppo) quando non c’è più stato Berlinguer”.

Voto: 7/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio

Citazioni: “Qualcuno era comunista perché Berlinguer era una brava persona”, “Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini con fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo..." e “È una parola che non mi ha mai fatto paura, la parola “comunista” a me in Italia, perché la associo con quella correttezza, la associo con quella faccia, con quelle parole, con quella onestà e quindi continua ad essere nei miei ricordi una parola bella che muore con chi in qualche modo l’ha inventata”.

domenica 4 maggio 2014

BASTARDI SENZA GLORIA

Titolo: Bastardi senza gloria;  
Regista: Quentin Tarantino; 
Attori: Brad Pitt, Christoph Waltz, Eli Roth, Mélanie Laurent, Diane Kruger, Michael Fassbender; 
Durata: 160 min; 
Genere: Azione; 
Produzione: USA, Germania, 2009;
Premi: 1 Premio Oscar 2010 “Miglior attore non protagonista” a Christoph Waltz, 7 Nomination Premio Oscar 2010 “Miglior film”, “Miglior regia”, “Miglior sceneggiatura non originale”, “Miglior fotografia”, “Miglior montaggio”, “Miglior montaggio del suono” e “Migliori effetti speciali sonori”; 1 Premio “Miglior attore” a Christoph Waltz al Festival di Cannes 2009; 1 Nastri d’Argento 2010 “Miglior film extraeuropeo”; 1 David di Donatello 2010 “Miglior film straniero”; 1 Golden Globes 2010 “Miglior attore non protagonista” a Christoph Waltz, 3 Nomination Golden Globes 2010 “Miglior regia”, “Miglior sceneggiatura” e “Miglior film drammatico”.

“Bastardi senza gloria” è un film di Quentin Tarantino diretto “alla Quentin Tarantino”.

Il film è ambientato nella Francia occupata dai nazisti durante la seconda guerra mondiale. La trama intreccia le storie della giovane ebrea Shosanna e del tenente americano Aldo Raine. La ragazza, unica superstite della famiglia perpetrato dal colonnello delle SS Hans Landa, si è rifugiata a Parigi e diventa proprietaria di una sala cinematografica, mentre il tenente è a capo di una plotone particolare di otto soldati ebrei  chiamati i “Bastardi”. Essi combattono la loro guerra contro i nazisti allo scopo di vendicarsi e di espandere il terrore tra le fila tedesche. Marchi di fabbrica delle loro azioni sono l’usanza di togliere lo scalpo ai loro nemici dopo averli uccisi e marchiare la fronte con una svastica per i più fortunati che vengono lasciati vivere. La svolta della pellicola è l’incontro con una particolare spia americana, l’attrice tedesca Bridget Von Hammersmark finito in una vera e propria mattanza. L’indagine sulla sparatoria sarà affidata proprio al colonnello Landa, mentre Aldo riceverà una nuova missione: uccidere tutte le più alte cariche del Terzo Reich e Adolf Hitler durante la prima visione di un film prodotto per propaganda dalle SS. La sala cinematografica scelta per questo avvenimento è quella di Shosanna e a questo punto i colpi di scena non possono di certo mancare.

I tre protagonisti sono Brad Pitt, nel ruolo di Aldo Raine con il suo fare duro e imperturbabile, Mélanie Laurent nel ruolo di Shosanna, e l’attore austriaco Christoph Waltz, che interpreta il colonnello Hans Landa, precedentemente sconosciuto al pubblico, ma la vera sorpresa per la magistrale recitazione. Arricchiscono il cast Michael Fassbender (il tenente Archie Hicox), la bellissima bionda Diane Kruger (la spia Bridget), Daniel Bruhl (il soldato-attore Zoller), Gedeon Burkhard (il caporale Wichi) e Eli Roth (il sergente Donowitz).

La pellicola mescola un po’ di sensazioni: l’ironia della prima parte, l’azione nella parte centrale e finale e la riflessione sull’orrore della guerra (il sangue, il fuoco e la morte). Lo spettatore non può riconoscere la mano del regista e anche il suo volto all’inizio: nel complesso però l’eccessiva durata non gioca a favore del ritmo e della fluidità delle scene.  

Restano nella mente certamente le “bloody scenes” e il finale nella sala cinematografica, tempio che racchiude il significato e l’essenza stessa del film.

Il mio giudizio è “Si può vedere”: oggettivamente un film ben girato, ricco di colpi di scena, di azione e di effetti visivi, ma un po’ lungo e senza “quel colpo di coda” che l’avrebbe reso intramontabile.

Voto: 7,5/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “Perché io so di quali incredibili azioni siano capaci gli esseri umani una volta che abbiano rinunciato alla propria dignità.”, “La possibilità di accoppare lo zio Adolfo fa cambiare colore al cavallo” e “Questo potrebbe essere il mio capolavoro…”.

sabato 19 aprile 2014

PANCHO VILLA, LA LEGGENDA

Titolo: Pancho Villa, la leggenda;  
Regista: Bruce Beresford; 
Attori: Con Antonio Banderas, Eion Bailey, Alan Arkin, Jim Broadbent, Matt Day, Colm Feore, Kyle Chandler; 
Durata: 112 min; 
Genere: Drammatico, Biografico; 
Produzione: USA, 2003;
Premi: 1 Nomination Golden Globes 2004 “Miglior attore miniserie o film tv” a Antonio Banderas.

“Pancho Villa, la leggenda” è un film di Bruce Beresford prodotto dalla HBO, una delle più popolari emittenti via cavo degli Stati Uniti.

Il film è ambientato durante la rivoluzione messicana, quando un movimento armato di agricoltori, operai, anarchici si ribellano alla dittatura di Porfirio Diaz. In questo periodo, il generale rivoluzionario Pancho Villa stringe uno storico accordo con il produttore statunitense David Wark Griffith per portare al cinema un documentario sulla sua guerriglia in cambio di 25,000 dollari. Il tramite fra i due è il giovane produttore Frank Thayer che si ritroverà a guidare un gruppo di operatori in mezzo alle battaglie. Nasce così il lungometraggio che non sarà subito un successo e creerà problemi fra Frank, fresco laureato di Harvard University, e il temuto generale Pancho Villa.

La pellicola si concentra fortemente sul rapporto fra i due personaggi principali: le loro profonde differenze verranno assottigliate pian piano dalle forti motivazioni che spingono la rivoluzione, il senso di giustizia e di libertà. Ciò nonostante la rivoluzione messicana durata per sette anni dal 1910 rimane molto sfuocata e sempre sullo sfondo: non è mai veramente protagonista.

La storia del generale messicano che ancora oggi è molto controversa, si arricchisce di perplessità dopo la visione di questo film. Il personaggio in questione risulta ancor più ambiguo, costantemente in bilico tra la figura del generoso e coraggioso eroe e quella di un becero e barbaro assassino.

L’emittente HBO ha formato un cast di tutto rispetto. Il ruolo centrale e suggestivo di Pancho Villa è stato affidato al volto di Antonio Banderas, mentre Frank Thayer è interpretato dall’attore statunitense Eion Bailey, apparso molte volte in famose serie tv come “Buffy l’Ammazzavampiri”, “Dawson’s Creek” e “Band of Brothers”. Completano il gruppo di attori Alan Akrin, nel ruolo del pistolero di Brooklyn Sam Drebben, Jim Broadbent (Harry Aitken), Colm Feore (D.W. Griffith) e Kyle Chandler (Raoul Walsh).

Il tentativo di riprodurre una particolare ed interessante vicenda di inizio ‘900 è risultato poco incisivo e molto deludente.

Il mio giudizio è “Non lo consiglio” perché il film inibisce e annebbia l’importanza e la suggestività della storia. Il finale poi lascia lo spettatore con molta confusione in testa.

Voto: 4,5/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “L’ora è arrivata, l’ora della liberazione del Messico è arrivata! Di fronte a noi non c’è Torreon, c’è il futuro!”.

PORCO ROSSO

Titolo: Porco Rosso;
Regista: Hayao Miyazaki;
Durata: 94 min;
Genere: animazione;
Produzione: Giappone, 1992.
Premi: 2 Mainichi Film Concours 1993 "Miglior Film d'Animazione" ad Hayao Miyazaki, "Migliore Colonna Sonora" a Joe Hisaishi

"Porco Rosso" è la sintesi del pensiero del regista giapponese Hayao Miyazaki.

Regista cardine dell’animazione giapponese ha realizzato un film denso di sfaccettature.

Il protagonista è Marco Pagot un pilota italiano di aerei da guerra sopravvissuto alla primo conflitto mondiale. La guerra gli ha lasciato un fisico marchiato e segnato dall'orrore e un animo disilluso: tutto ciò è sintetizzato in un volto che è diventato simile a quello di un maiale. Marco diventa pessimista, anarchico e non crede più ne agli uomini ne al futuro. Schieratosi contro il nascente partito fascista, si ritrova a guadagnarsi da vivere dando la caccia con il suo idrovolante rosso a veri e propri pirati dell’aria che scorrazzano sul mar Adriatico. Lo scontro con un abile pilota americano, Donald Curtis, ingaggiato dai Pirati dell’Aria e l'incontro con una ragazza, Fio, nipote di un costruttore di aerei, gli daranno quell'energia necessaria per continuare ad andare avanti: una nuova motivazione per vivere o, per meglio dire, sopravvivere.

Un film importante e non semplice da capire alla prima visione: tanti temi sono presenti, l'amore, il dolore, la guerra, la pace, la politica, l'ingiustizia...

L’autore Miyazaki, genio e firma anche di altri due totem dell’animazione giapponese come “Nausicaa della valle del vento” e “La città incantata”, è stato ancora una volta minuzioso nella scelta dei personaggi, del periodo storico e della trama in sé: tutte caratteristiche difficili da notare per uno spettatore inesperto (come me). Nonostante la mia scarsa conoscenza dell’ideatore, credo sia doveroso sottolineare il fortissimo e centratissimo contrasto tra il contesto storico, l’Italia degli anni venti, folgorata e orgogliosa dell’ascesa fascista e l’ambientazione, una parte spettacolare e sconosciuta del mar Adriatico. L’autore sembra metterci in guardia sul fatto che anche dal più incantevole angolo del paradiso terrestre può crescere il germe del totalitarismo e dell’ingiustizia.

Per quanto riguarda la versione doppiata in italiano è giusto sottolineare l’interpretazione di Massimo Corvo, attore del piccolo schermo e grande doppiatore in numerose serie televisive "crime" di Fox e voce fuoricampo in molte produzioni Rai.

Il mio giudizio è "Si può vedere" stando ben attenti ad ogni parti particolare: suggerisco di rivolgere un occhio, quello più incline alla spensieratezza e alla leggerezza, verso l’animazione e la trama e l'altro, quello un po' romantico e anarchico, verso quelle similitudini che si possono riscontrare nella società del giorno d'oggi.

Un pensiero e un sorriso dall'amico Alessio.

Voto: 7/10


Citazioni: "Meglio porco che fascista", "Un porco senza ali è solo un porco".

sabato 12 aprile 2014

LA GRANDE BELLEZZA

Titolo: La grande bellezza;  
Regista: Paolo Sorrentino; 
Attori: Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso, Maria Rosaria Forte, Pasquale Petrolo, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Isabella Ferrari, Giovanna Vignola, Roberto Herlitzka; 
Durata: 150 min; 
Genere: Drammatico; 
Produzione: Italia, Francia, 2013;
Premi: 1 Premio Oscar 2014 “Miglior film straniero”; 3 Nastri d’Argento 2013 “Miglior attore non protagonista” a Carlo Verdone, “Miglior attrice non protagonista” a Sabrina Ferilli e “Miglior fotografia” 6 Nomination Nastri d’Argento 2013 “Migliori regia”, “Miglior sceneggiatura”, “Miglior colonna sonora”, “Migliori costumi”, “Miglior sonoro in presa diretta”  e “Miglior produzione”; 1 Golden Globes 2014 “Miglior film straniero”; 1 Premio BAFTA 2014 “Miglior film straniero”; 4 European Film Awards 2013 “Miglior film europeo”, “Miglior regista europeo” a Paolo Sorrentino, “Miglior attore europeo” a Toni Servillo e “Miglior montatore europeo” 1 Nomination European Film Awards 2013 “Miglior sceneggiatore europeo”; 1 Nomination Cesar 2014 “Miglior film straniero”.

“La grande bellezza” è un film di Paolo Sorrentino sulla coscienza e sulla vita, ambientato a Roma, la città eterna, l’Urbe.

Il film racconta un periodo della vita del protagonista Jep Gambardella: giornalista, scrittore e critico d’arte. Alla festa del suo sessantacinquesimo compleanno tenuta in una terrazza affacciata sul Colosseo, il protagonista e i suoi ospiti sono immersi in una grande baldoria, in un’apparente ricerca del divertimento e in un disperato tentativo di ritrovare la gioventù persa. Simbolo di tutto ciò è la colonna sonora della festa: il brano degli anni ’70 di Raffaella Carrà “A far l’amore comincia tu” remixato nel 2011 da Bob Sinclair. Jep occupa faticosamente le sue giornate tra interviste ad artisti e personaggi famosi, svegliandosi a mezzogiorno dopo aver trascorso notti brave con un unico obiettivo: rimanere il principe della mondanità “il mondano fra i mondani”. Il suo gruppo di amici del “salotto buono” è composto da autori teatrali falliti e senza nuove idee, ricchi commercianti adulteri e infedeli, facoltose donne di mezza età, religiosi più preoccupati dell’aldiquà che dell’aldilà e scrittori snob e politicamente orientati senza un briciolo di talento. Durante questo periodo la strada di Jep incrocia quella di altri personaggi particolari e intriganti che per un motivo o per un altro si spengono rapidamente ed improvvisamente come lampadine. Jep continua a vivere, o meglio a sopravvivere, riflettendo ma non cambiando.

Gli attori recitano e intrattengono in una scenografia perfetta, portando in giro per Roma lo spettatore: l’Anfiteatro Flavio, Fori Imperiali, Piazza Navona, le terme di Caracalla, i Musei Capitolini, la fontana dell’ Acqua Paola, il Gianicolo, il parco degli Acquedotti, i Muraglioni del Tevere e tanti altri angoli meno conosciuti, ma eccezionali.

Immancabile nei film di Sorrentino e fulcro del cast è l’afragolese Toni Servillo che interpreta con maestria e convinzione i panni di Jep. Fra il gruppo di attori ci sono i romani Carlo Verdone (Romano), Sabrina Ferilli (Ramona), Pasquale Petrolo meglio conosciuto come Lillo del duo Lillo & Greg (Lillo) e Galatea Ranzi (Stefania), i napoletani Carlo Buccirosso (Lello Cava) e Maria Rosaria Forte (Trumeau), infine Pamela Villoresi (Viola), Isabella Ferrari (Orietta), Giovanna Vignola (la direttrice nana Dadina) e Roberto Herlitzka (il cardinale Bellucci).

Simbolo di questo film è certamente il trenino: rappresentazione visiva della vita del protagonista, tanto divertente e spassoso quanto sterile e senza meta.

Al termine del film, ciò che più colpisce è la fredda e oggettiva riflessione di Jep Gambardella sulla propria vita: un’esistenza inutile e superficiale.

Dove si trova allora “La grande bellezza”? Dal mio punto di vista, bisogna cercarla grattando la superficie e scavando nella memoria.

La citazione da segnalare è certamente quella frase pronunciata da Jep commentando la sua età:
“La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”.

Il mio giudizio è “Si può vedere” con lo spirito di chi non vuole giudicare, di chi non cerca risposte in questo film e di chi accantona i premi, il successo e i pomposi festeggiamenti (esagerati a mio parere)  che influenzano l’opinione di qualcuno. 

Voto: 6,5/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “La più sorprendente scoperta che ho fatto subito dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare”, “È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile”, “Non volevo essere semplicemente un mondano, volevo diventare il re dei mondani. Io non volevo solo partecipare alla feste, io volevo avere il potere di farle fallire!” e “Finisce tutto così, con la morte. Prima però c'era la vita, nascosta dal bla bla bla…”.

giovedì 10 aprile 2014

PER UN PUGNO DI DOLLARI

Titolo: Per un pugno di dollari;  
Regista: Sergio Leone; 
Attori: Clint Eastwood, Gian Maria Volonté, Marianne Koch, Wolfgang Luschky, Sieghardt Rupp, Josè Calvo, Antonio Prieto, Margarita Lozano;
Durata: 95 min; 
Genere: Western; 
Produzione: Italia, 1964;
Premi: 1 Nastri d’Argento 1965 “Miglior musica” a Ennio Morricone.

“Per un pugno di dollari” è il primo film della “Trilogia del tempo” diretto dal maestro Sergio Leone.

Il film è il caposaldo del genere divenuto famoso al mondo come “spaghetti-western”.

Racconta la vicenda di  un solitario pistolero di nome Joe che giunge in una piccola cittadina al confine fra Stati Uniti e Messico nel 1872: San Miguel. La città è stata spartita da due importanti famiglie: i Baxter che vendono armi e i Rojo che smerciano alcol. Joe offre i suoi servigi da infallibile pistolero alle due famiglie facendo il doppio gioco e portandole più volte allo scontro. Da una parte c’è lo sceriffo e capo famiglia John Baxter, mentre dall'altra lo spietato e violento Ramòn Rojo, famoso per la sua crudeltà e per l’abilità nell’uso del fucile. In seguito ad assassinii, furti, violenze e soprusi, il pistolero solitario si erge a giustiziere liberando Marisol, una giovane donna prigioniera di Ramon. Questo fatto comporterà spiacevoli conseguenze. Ultima fra tutte lo scontro finale fra Ramon e lo stesso Joe al centro della cittadina nel tipico duello western all'ultimo sangue.

Il regista Sergio Leone basa gran parte della sceneggiatura sul copione di “Yojimbo”, film del giapponese Akira Kurosawa del 1961. Nonostante ciò il maestro romano riesce a dare un tocco di originalità e incredibile novità dando vita alla rinascita del western negli anni sessanta e iniziando la sua lunga carriera culminata con “C’era una volta in America”.
I due protagonisti sono: Clint Eastwood e Gian Maria Volonté. Il primo, attore protagonista nel 1959 della serie televisiva western “Rawhide” interpreta meravigliosamente il ruolo di Joe mentre il secondo era all'epoca un attore alle prime armi e riesce a immedesimarsi perfettamente nel carattere brutale e violento di Ramòn. Fanno parte del cast anche: la bellissima Marianne Koch (Marisol), Josè Calvo (Silvanito), Antonio Prieto (Don Benito Rojo), Sieghardt Rupp (Esteban Rojo), Wolfgang Lukschy (John Baxter), la bravissima Margarita Lozano (Consuelo Baxter) e Bruno Carotenuto (Antonio Baxter). Da ricordare il personaggio strepitoso di Piripero, il falegname della cittadine nonché becchino, simpaticissimo e letteralmente matto, interpretato dall’attore austriaco Joseph Egger.

La pellicola riesce a rendere gradevole una serie di carneficine, spietatezze, crudeltà e scene violente, grazie a un insieme di colori, musiche e suoni innovativi ideati dalla magica fantasia di Ennio Morricone.

Il film custodisce una frase che oggi è una citazione conosciuta nel mondo e semplicemente indimenticabile:

“Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto.”

D’altro canto c’è un’altra frase che secondo me maggiormente lo identifica:

“Quando si vuole uccidere un uomo bisogna colpirlo al cuore, e un Winchester è l'arma più adatta”.

Il mio giudizio è “Assolutamente da vedere”: l’inizio di un cammino leggendario del maestro Leone che deve essere ripercorso con attenzione e serenità. Il film merita e invoglia lo spettatore a non abbandonare questo particolare genere e questo modo leggendario di fare cinema.

Voto: 8/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto. È un proverbio messicano”, “Quando si vuole uccidere un uomo bisogna colpirlo al cuore, e un Winchester è l'arma più adatta”, “Un paese che commercia in alcool e armi deve essere molto ricco” e “Quando i padroni sono due, vuol dire che ce n'è uno di troppo”.

domenica 6 aprile 2014

C'ERA UNA VOLTA IN AMERICA

Titolo: C’era una volta in America;  
Regista: Sergio Leone; 
Attori: Robert De Niro,  James Howard Woods, Tuesday Weld, Elizabeth McGovern, William Forsythe, James Hayden, Darlanne Fluegel , Joe Pesci, Burt Young;
Durata: 227 min; 
Genere: Drammatico; 
Produzione: USA, 1984;
Premi: 5 Nastri d’Argento 1985 “Miglior regia”, “Miglior fotografia”, “Miglior scenografia”, “Miglior musica” a Ennio Morricone, “Migliori effetti speciali”; 2 Nomination Golden Globes “Miglior regia” e “Miglior colonna sonora”.

“C’era una volta in America” è l’ultimo film della “Trilogia del tempo” e l’ultimo film girato dal maestro Sergio Leone.

Il film è ambientato a New York e racconta quarant’anni della vita del protagonista: il gangster David Aaronson detto Noodles. La trama si suddivide in tre capitoli concettuali, non precisamente distinti a causa del  bellissimo uso di flashback e flash forward: l’adolescenza, la gioventù e la vecchiaia.
L’adolescenza coincide con la nascita della profonda amicizia fra Noodles e Maximilian "Max" Bercovicz nel ghetto ebraico della Grande Mela del 1922. I due ragazzini danno vita a una vera gang criminale insieme agli amici Patsy, Cockeye e Dominic specializzandosi nel recupero di casse di whisky dal mare. In questo periodo, Noodles conosce Deborah, una giovanissima ragazzina, figlia di un benestante barista ebreo e sorella dell’amico Fat Moe. I due si innamorano, ma lei che sogna di diventare una famosa ballerina, odia la vita criminale e sceglie di allontanarsi da Noodles. Intanto le azioni della banda infastidiscono il boss locale Bugsy e alcune vicissitudini porteranno all’arresto di Noodles e alla sua condanna a 10 anni di galera.
La giovinezza è caratterizzata dalla crescita della banda che nel 1932 gestisce il meraviglioso locale di Fat Moe distribuendo alcolici in pieno proibizionismo. La gang fa sul serio: omicidi, rapine e stupri sono all’ordine del giorno. Noodles e Max si ritrovano ad allargare le loro attività con boss sempre più potenti e pericolosi. La fine del proibizionismo è la causa di un’inesorabile inclinazione del rapporto fra i due amici che porterà Noodles a tradire i compagni e scappare a Buffalo.
La vecchiaia è la chiusura del cerchio: Noodles viene misteriosamente ricontattato e richiamato a New York dove manca da 35 anni. Nel 1968 tutto è cambiato: il bar di Fat Moe, le strade di New York e la vita criminale. Invitato al party di un famoso senatore, vittima di un attentato a cui è sfuggito miracolosamente, Noodles si ritroverà a fare i conti con il proprio passato.  

Il cast ha come vero protagonista Robert De Niro che interpreta Noodles a cui sono affiancati tanti bravissimi attori, ma certamente nessuna stella. Indimenticabile è James Howard Woods nel ruolo di Max e i ruoli femminili di Tuesday Weld (Carol, compagna di Max) e Elizabeth McGovern (Deborah), tanto importanti e tanto diverse. Fra gli altri si ricordano William Forsythe (Cockeye), James Hayden (Patsy), Darlanne Fluegel (Eve), Joe Pesci (Frenkie) e Burt Young (Joe).   
Il film è il testamento di Sergio Leone e del suo modo unico e geniale di fare cinema. Il maestro racconta in maniera minuziosa e avvincente questa storia: la sceneggiatura è stata completata dopo 12 anni di lavoro subito dopo l’uscita del film “Giù la testa”, secondo atto della “Trilogia del tempo”. La pellicola è in grado di portare lo spettatore a spasso nel novecento sullo sfondo newyorkese che cambia e si evolve. I 227 minuti non sono un ostacolo e accompagnano dolcemente alla fine del film.

L’innovazione più grande è la mancanza di linearità gestita magnificamente dal regista che si muove con disinvoltura apparente nella memoria del protagonista portando con sé l’attenzione dello spettatore.

Le musiche eccezionali sono opera del fido Ennio Morricone con cui ha lavorato per tutti i suoi western.

Che dire di più? Un capolavoro artistico riconosciuto dalla critica, ma soprattutto dal pubblico.

Il mio giudizio è “Assolutamente da vedere”: una lezione di cinema, di pensiero e di racconto. Sergio Leone è garanzia di un tempo ben speso sulla propria poltrona di fronte allo schermo a gustarsi un’opera che mai passerà di moda.

Voto: 9/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “Che cosa hai fatto tutti questi anni Noodles? Sono andato a letto presto!”, “Noi siamo come il destino: chi va a star bene e chi va a prenderselo in culo” e “È questo il tuo modo di vendicarti? No, è il mio modo di vedere le cose.”.

IL MEDICO DEI PAZZI

Titolo: Il medico dei pazzi;  
Regista: Mario Mattoli; 
Attori: Franca Marzi, Aldo Giuffrè, Totò, Mario Castellani, Tecla Scarano; 
Durata: 85 min; 
Genere: Comico; 
Produzione: Italia, 1954;
Premi: -

“Il medico dei pazzi” è una rivisitazione dello spettacolo teatrale omonimo scritto da Edoardo Scarpetta.

La pellicola ha come sfondo la città di Napoli con le sue particolarità e la sua società. Il protagonista è il signor Felice Sciosciammocca, originario di Roccasecca, che mantiene economicamente il nipote Ciccillo credendolo uno studente di psichiatria. Un giorno decide di andare a trovarlo in città, così caduto in trappola il giovane dissennato e scialacquatore di soldi, architetta una vera e propria truffa ai danni dello zio. Si fa credere un importante psichiatra, proprietario di un manicomio, che non è altro che la pensione dove vive: “Pensione Stella”. Da questo momento nasceranno mille equivoci e lo zio Felice incontrerà pazzi di ogni genere: colonnelli a riposo, musicisti in cerca di fama e attori shakespeariani.

Il protagonista è interpretato da Totò: re indiscusso del cinema comico degli anni ’50. La sua capacità di far ridere senza volgarità né turpiloqui è semplicemente eccezionale. Sfrutta l’equivoco, gesticola ed enfatizza il lato strano e originale di qualsiasi cosa.

Il film girato nel 1954 è uno dei pochi a colori di Totò e fa perdere con le grigie tonalità l’allegria che dovrebbe essere la vera protagonista. I colori sono smorti: dominano i grigi e i colori cupi, mentre risaltano colori sgargianti non necessari come la cravatta e il papillon rossi degli attori principali.

Da ricordare i malintesi con i pazienti: la priorità di assecondare il malato farà nascere tantissime risate e situazioni particolari.

Il racconto è semplice e anche scontato, tuttavia Totò riesce a dare una marcia in più all'intera sceneggiatura.

Il mio giudizio è “Si può vedere” in un dopo-pranzo di primavera, prima di un caffè e con un liquore in mano.

Voto: 5,5/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “Non sono cretino, sono stato cretino un solo giorno: quello del matrimonio.”, “Il pazzo intelligente, quando è guarito, che cosa fa? Finge di essere ancora pazzo” e “Lupus in fabula….Lupus in fabbrica, un lupo nella fabbrica. Mah... si vede che hanno aperto una fabbrica di lupi”.

mercoledì 2 aprile 2014

THE WOLF OF WALL STREET

Titolo: The Wolf of Wall Street;  
Regista: Martin Scorsese; 
Attori: Leonardo Di Caprio, Jonah Hill, Margot Robbie, Matthew McConaughey, Kyle Chandler; 
Durata: 180 min; 
Genere: Biografico; 
Produzione: USA, 2013;
Premi: 5 Nomination Premio Oscar 2014 “Miglior film”, “Migliori regia”, “Miglior attore” a Leonardo Di Caprio, “Miglior attore non protagonista” a Jonah Hill e “Miglior sceneggiatura non originale”; 1 Golden Globes 2014 “Miglior attore in un film brillante” a Leonardo Di Caprio, 1 Nomination Golden Globes 2014  “Miglior film brillante”; 3 Nomination BAFTA 2014 “Miglior regia”, “Miglior attore” a Leonardo Di Caprio e “Miglior sceneggiatura non originale”.

“The Wolf of Wall Street” sembra una finestra aperta sullo stereotipo del broker americano invece è l’adattamento cinematografico sulla vera storia di Jordan Belfort.

La vicenda comincia nel 1987 quando il giovane Jordan diventa un broker a Wall Street sotto la guida del mentore Mark Hannah, un eccentrico agente di cambio che sopravvive grazie alla cocaina e al denaro. Il collasso del mercato fa perdere a Jordan il lavoro, ma dà inizio alla sua inarrestabile ascesa. Fonda la Stratton Oakmont e trasforma una banda di sempliciotti un po’ imbranati in terrificanti venditori di titoli di società inesistenti, in truffatori e speculatori. Le cifre dei raggiri e delle manipolazioni crescono, raddoppiano e decuplicano: la vita di Jordan è una sorta di continuo sballo perenne, tra droga, sesso, soldi, azioni di borsa e la ferrea ambizione di non fermarsi più. Nemmeno un articolo su un’importante rivista  che denuncia le sue frodi riesce a fermare la sua corsa anzi fa aumentare la notorietà. A questo punto è la lente di ingrandimento dell’agente FBI Patrick Denham che si sofferma sulla Stratton Oakmont. Sentendosi sotto pressione, Jordan trasferisce gran parte dei suoi guadagni in Svizzera con la complicità di vecchi amici e di un banchiere dall’accento francese. I guai con orge e droga non finiscono mai e giorno dopo giorno il vortice del successo lo porta nell’oblio.
Martin Scorsese firma un film dalle grandi potenzialità: un cast importante, una storia molto americana e ne aggiunge il suo modo di vedere il mondo  e di illuminare tutti gli angoli bui delle sfaccettature umane.

Un superbo Leonardo Di Caprio è Jordan Belfort: nessuna critica per un attore straordinario che riesce a riassumere con la voce, con le movenze e con le smorfie facciali tutte le pazze e incredibili scene che si susseguono nel film. Il cast si compone inoltre di Jordan Hill, il tracagnotto attore californiano che interpreta il socio Donnie Azoff, Margaret Robbie, nel ruolo di Naomi, la seconda moglie di Jordan, il comico francese Jean Dujardin nel ruolo del banchiere svizzero, Rob Reiner, nel ruolo del padre di Jordan e Kyle Chandler, volto della serie tv “Ultime dal cielo” è l’agente Patrick Denham. Nota di merito a Matthew McConaughey, che dà voce e anima al mentore Mark Hannah.

Il film è sicuramente a tratti molto divertente e folle: si scherza e si ride sull’esagerato eccesso, sull’isterismo, sui comportamenti immorali, sulla frode, sulla truffa e sul desiderio di andare oltre ai limiti. Tuttavia ha un peccato originale : la durata di 180 minuti è veramente esagerata e rispecchia il tema principale.

Allo spettatore, sprofondato nella poltrona del cinema, rimane quell’estrema e insensata voglia inarrestabile di popolarità e successo, che porta il protagonista ad una lenta, ma inesorabile autodistruzione.

Il mio giudizio è “Si può vedere” senza aspettarsi nulla di più rispetto all’iniziale definizione: “una finestra aperta sullo stereotipo del broker americano”. 

Voto: 6,5/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “Mi chiamo Jordan Belfort. L'anno in cui ho compiuto 26 anni ho guadagnato 49 milioni di dollari, il che mi ha fatto molto incazzare perché con altri 3 arrivavo a un milione a settimana”, “Lasciate che vi dica una cosa. Non c'è nobiltà nella povertà. Sono stato un uomo povero, e sono stato un uomo ricco. E scelgo di essere ricco tutta la vita, dannazione!”, “Uso lo xanax per concentrarmi, l'ambien per dormire, l'erba per calmarmi, la cocaina per tirarmi su e la morfina perché è ottima. Ma, tra tutte queste, la mia droga preferita beh, sono loro (il denaro)” e “Bene Hector, ecco il nostro programma: tu ci porti due vodka Martini, lo sai come mi piacciono, niente ghiaccio. Poi, precisamente sette minuti e mezzo dopo, ce ne porti altri due, e poi ancora due ogni cinque minuti finché uno di noi non perde i sensi”.

domenica 30 marzo 2014

LA BATTAGLIA DI ALGERI

Titolo: La Battaglia di Algeri;  
Regista: Gillo Pontecorvo; 
Attori: Yacef Saadi, Jean Martin, Michele, Fawzia El Kader, Ugo Paletti; 
Durata: 121 min; 
Genere: Drammatico; 
Produzione: Italia, Algeria, 1966;
Premi: 3 Nomination Premio Oscar 1966 “Miglior film straniero”, “Migliori regia” e “Miglior sceneggiatura originale”; 3 Nastri d’Argento 1967 “Miglior regia”, “Miglior fotografia in bianco e nero” e “Miglior produzione”;  1 Leone d’oro di San Marco 1966 “Miglior film” alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

“La battaglia di Algeri” è un film documentario che racconta gli avvenimenti che portano all’indipendenza dell’Algeria.

La città di Algeri nel 1954 è divisa in due grandi quartieri: uno europeo, moderno e ricco e uno arabo, periferico e povero chiamato la “casbah”. La prima parte del film mostra la fase terroristica operata dal Fronte di Liberazione Nazionale in città cioè gli attentati dinamitardi e gli omicidi nei confronti sia della polizia che della popolazione civile francese. Fra i personaggi che spiccano, risalta i giovani rivoluzionari  Ali La Pointe e Halima. Lacrime e sangue scorrono per le strade di Algeri e portano il governo francese ad inviare nella città la 10° divisione di paracadutisti guidata dal tenente colonnello  Philippe Mathieu. L’arrivo del comandante reduce dalla seconda guerra mondiale, dai movimenti antinazisti in Francia, dalla campagna d’Italia e dalla guerra d’Indocina è la svolta della pellicola. I paracadutisti francesi combattono contro un nemico difficile da scovare e da colpire utilizzando i metodi più violenti e infimi. I risultati sono innegabili: il FNL subisce moltissime perdite e sembra quasi sconfitto. Nonostante la repressione e le torture, i francesi non sono in grado di fermare il desiderio di libertà ed indipendenza del popolo che nel 1960 torna in piazza. Dopo  due anni di aspri combattimenti, lutti e dimostrazioni, l’indipendenza sarà sancita il 2 luglio 1962.

Il cast è formato da tutti attori non professionisti con la partecipazione anche di persone che hanno contribuito direttamente al raggiungimento dell’indipendenza. L’unico attore è Jean Martin, nel ruolo del comandante Mathieu, perfetto, sempre composto, rude e glaciale.

Il film segue un ritmo pressoché costante, stringante e martellante nel susseguirsi delle scene.

La pellicola è girata ad Algeri da una produzione quasi interamente italiana grazie al feeling creatosi fra i governi dei due paesi. È una vera denuncia documentata alle atrocità di quel periodo.

Ci sono due particolari che rimangono fissi in modo particolare nella testa dello spettatore. Il primo è l’intero sonoro del film: dai tamburi delle truppe francesi alle musiche intervallanti di Ennio Morricone, dalle urla delle donne della casbah al rumore assordante delle bombe. Il secondo è l’uniforme dei paracadutisti che in patria sono chiamati les lezards, le lucertole.  

Una citazione interessante e riflessiva è la risposta retorica del comandante Mathieu ai giornalisti a proposito dell’opinione di quest’ultimo sulla guerra di Algeria: “La Francia deve rimanere in Algeria?”.

Un film “Assolutamente da vedere” che racconta in maniera cruda e concisa un argomento che i nostri libri di storia non affrontano abbastanza.

Voto: 7,5/10.

Un pensiero e un sorriso dallo spettatore Alessio


Citazioni: “Ma mi spiegate perché i Sartre nascono tutti dall'altra parte?”, “La Francia deve rimanere in Algeria?” e “Sai Alì, una rivoluzione è difficile iniziarla, ancora più difficile è vincerla. Ma quello che sarà veramente difficile verrà dopo che avremo vinto”.